Archeologi: “quelli che hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera”
13/1/15 .- http://www.professionearcheologo.it/
Archeologi: “quelli che hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera"
Che tu stia lavorando da archeologo o che tu abbia smesso di fare l’archeologo con tanto di scarponcini zozzi di terra, scommettiamo che quasi ogni mattina ti alzi con alcuni perché in testa. Come noi. Non cose che hanno a che fare con la vita, la morte e i grandi quesiti dell’umanità. No, cose più terra terra. Appunto.
Perché non riusciamo a farci capire? Perché noi archeologi siamo belli e fighi su uno schermo cinematografico o nei videogame e invece siamo brutti e cattivi quando svolgiamo il nostro lavoro?
Certo il physique du rôle dei figaccioni non ce l’abbiamo proprio: sudati in estate e infreddoliti con le labbra screpolate in inverno, quasi sempre spettinati e con la testa fra le nuvole a numerare strati e muri. E va bene. Su questo c’avete ragione.
Però tutto sommato siamo persone (più o meno) normali: studiamo molti anni, facciamo gavetta sui cantieri universitari, mandiamo curriculum, lavoriamo 8 ore al giorno e portiamo a casa la pagnotta (non tutti i mesi e non sempre la pagnotta basta, ma tant’è). Così ci riconosciamo tra noi, questo è quello che vediamo uno nell’altro quando ci ritroviamo tra archeologi.
E se da un lato c’è tanta curiosità nei confronti del nostro lavoro, se frasi come “wow, anche io avrei sempre voluto fare l’archeologo,” ci sono piuttosto familiari, ce ne sono tante altre che tornano costanti, riferite alla nostra categoria. E non sono belle.
Così, noi archeologi, spesso siamo “quelli che bloccano i lavori”, “quelli che stanno sempre in mezzo ai piedi sui cantieri”, “quelli che non si capisce di cosa parlano”, “quelli che non vogliono ammettere che gli alieni stavano un pezzo avanti a egiziani e ingegneri romani”, quelli che… “ma per quattro sassi fate sempre un casino!”
A questo breviario di definizioni dell’”archeologo” ne mancava giustappunto una: “quelli che hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera”.
Vi sfidiamo. Se siete archeologi la prima cosa che avete pensato è “carriera, ma che davvero?”
Stavolta da chi giungono gli ennesimi strali? Dal presidente di una fondazione sarda. Che sembra sia formata da volontari.
E qui è il momento in cui alzate lo sguardo dallo schermo e fate quella faccia un po’ così, con le sopracciglia aggrottate a descrivere la domanda: “ancora?”
E sì, ancora.
Ora, non è che noi siamo contrari all’impiego del tempo libero in azioni filantropiche, però possiamo dirlo che nel nostro campo e nei musei se ne sta facendo un uso disinvolto e davvero poco lungimirante?
Che i volontari dicessero che quelli “fuori posto” e in qualche modo “dannosi” in un contesto archeologico siano gli archeologi, però, oggettivamente, le supera tutte.
Ora, facciamo un passo indietro e torniamo al VIA.
Questo regalino, fastidioso come il carbone, è arrivato, il giorno della Befana, dalla Sardegna.
Pochi giorni fa, infatti, Antonello Gregorini, portavoce di Nurnet – La Rete Dei Nuraghi, Fondazione di Partecipazione sarda nata con lo scopo di promuovere “la cultura del periodo in cui sull’Isola svilupparono le civiltà pre e nuragica” , che ha assicurato la vigilanza del sito di Mont’e Prama (Cabras, Sardegna) durante le feste natalizie, avrebbe sostenuto che “sarebbe folle lasciare questo tesoro nelle mani degli archeologi, che hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera”.
L’articolo continua:
“Ma non vogliamo sostituirci agli archeologi nel lavoro di scavo, il nostro è solo un progetto di marketing“” ha spiegato a un centinaio di persone arrivate un po’ da tutta la Sardegna per partecipare all’assemblea pubblica convocata proprio a Mont’e Prama per raccontare quello che, secondo Nurnet, dovrà essere il futuro del sito. “Mont’e Prama – ha sottolineato Gregorini – è un patrimonio di tutti i sardi e vogliamo che sia trattato da una classe dirigente capace di trarne il massimo profitto in termini di cultura, lavoro e visibilità per tutta la Sardegna”.
La prima cosa che ci viene da dire è che, a ben guardare, “il tesoro” di cui parla Gregorini, se gli archeologi non l’avessero scavato, non ci sarebbe stato proprio. E inoltre pubblicare una scoperta non è una scelta o un’attività ludica, bensì un dovere. Sembra lapalissiano ma evidentemente deve essere ribadito.
Soprattutto, però, quello che salta agli occhi è che gli archeologi sono ancora una volta considerati buoni solo a scavare.
E passata la prima indignazione, questo deve farci riflettere.
Dall’esterno la nostra professione sembra una cariatide monolitica immobile e polverosa, ma non è esattamente così: la statua, come il Leviatano di Hobbes, è fatta di tante persone, foriere di diversi caratteri, interessi, capacità ed energie. Che poi la testa del gigante fatichi a guardare verso il futuro e i comuni mortali spesso è vero, ma non per questo è lecito condannare tutto il corpo.
Se addirittura si arriva a sostenere che “sarebbe una follia” mettere nelle mani degli archeologi il lavoro di valorizzazione di un sito archeologico, è forse giunto il momento, anche per noi, di fare autocritica.
Allora, la prima domanda è: siamo davvero in grado di comunicare all’esterno chi siamo, cosa facciamo e soprattutto perché?
La risposta, chiaramente, è “no”, o comunque “non sempre”. Sono diverse ormai le realtà in Italia in cui ricerca e comunicazione della ricerca vanno di pari passo, ma non basta, non è ancora prassi comune e deve diventarlo se vogliamo che il nostro lavoro sia rilevante per la società in cui viviamo.
La seconda domanda, forse ancora più importante, è: siamo pronti ad occuparci di valorizzazione dei beni culturali, uscendo da logiche che potremmo definire “da primo novecento”? Siamo disposti a rinnovare profondamente il rapporto tra bene culturale e pubblico?
La risposta è “non ancora”, ma ci stiamo lavorando.
La questione però non finisce qui.
Nell’articolo il portavoce di Nurnet cita la classe dirigente e non sbaglia. La fondazione si è fatta carico di assicurare il servizio di guardiania durante il periodo festivo quando il sito, sembra, era stato lasciato senza sorveglianza. E questo dopo immani polemiche su mancanza di fondi, competenze e beghe burocratiche (vedi box sotto con link di approfondimento).
Il problema, insomma, è molto più che una bagarre tra volontari, che meritoriamente si sostituiscono a quella che sentono come una mancanza da parte degli organismi competenti, e archeologi. Il problema è, ancora una volta, culturale e politico.
L’abbiamo detto e lo diremo ancora: non si può pretendere di usare i beni culturali come “volano della ripresa economica” con investimenti minimi, provvedimenti placebo e restauri eclatanti fatti giusto per onorare l’articolo 9 della Costituzione.
Finché la politica culturale di questo paese rimarrà ancorata alle logiche del “a costo zero”, senza un serio investimento (non solo in termini economici) ed una progettualità sul lungo termine, troveremo sempre associazioni di appassionati cittadini che sono disposti a spendere il proprio tempo in nome di una rinascita culturale della loro terra. Il loro impegno è lodevole e benvenuto, ma non può e non deve sostituirsi alle istituzioni, ai professionisti, e a chi ha il dovere di gestire e rendere fruibile il patrimonio culturale dello stato.
E no, “non ci sono fondi” non è più una scusa accettabile.
*
Per approfondire
La questione Mont’e Prama è molto complessa. Non siamo esperte di archeologia sarda, non conosciamo le dinamiche e le problematiche della valorizzazione di questo particolare sito, però in rete ci sono diversi articoli e post interessanti. Ne abbiamo raccolto alcuni che pensiamo possano aiutare a chiarirsi un po’ le idee.
- Il sito della Fondazione: www.nurnet.it
- La pagina FB che cerca volontari per la guardiania al sito archeologico.
Sul sito e la mancanza di sorveglianza:
- Mont’e Prama, vigilanza rafforzata Restauro con i soldi dei privati
- Mont’e Prama, archeologo Zucca: “Abbiamo pagato vigilanza scavi. Ma rischiamo posto”
- L’assessore Claudia Firino su Mont’e Prama: “Vigilanza attualmente garantita dal Corpo Forestale”
- Rassegna stampa a cura dell’Università di Cagliari del giorno 29 dicembre 2014 (articoli 3 e 5)
Mont’e Prama, i volontari e politica culturale
- Volontariato e beni culturali: cosa insegna il caso Mont’e Prama (ma che accademici e politici si rifiutano di capire)
- Essenzialismi culturali, populismo e progetti politici opachi
- Antonello Gregorini: gli avvoltoi di Nurnet
- See more at: http://www.professionearcheologo.it/archeologi-quelli-che-hanno-solo-interesse-a-scavare-e-pubblicare-per-motivi-di-carriera/#sthash.nwXol9ix.dpuf
Che tu stia lavorando da archeologo o che tu abbia smesso di fare l’archeologo con tanto di scarponcini zozzi di terra, scommettiamo che quasi ogni mattina ti alzi con alcuni perché in testa. Come noi. Non cose che hanno a che fare con la vita, la morte e i grandi quesiti dell’umanità. No, cose più terra terra. Appunto.
Perché non riusciamo a farci capire? Perché noi archeologi siamo belli e fighi su uno schermo cinematografico o nei videogame e invece siamo brutti e cattivi quando svolgiamo il nostro lavoro?
Certo il physique du rôle dei figaccioni non ce l’abbiamo proprio: sudati in estate e infreddoliti con le labbra screpolate in inverno, quasi sempre spettinati e con la testa fra le nuvole a numerare strati e muri. E va bene. Su questo c’avete ragione.
Però tutto sommato siamo persone (più o meno) normali: studiamo molti anni, facciamo gavetta sui cantieri universitari, mandiamo curriculum, lavoriamo 8 ore al giorno e portiamo a casa la pagnotta (non tutti i mesi e non sempre la pagnotta basta, ma tant’è). Così ci riconosciamo tra noi, questo è quello che vediamo uno nell’altro quando ci ritroviamo tra archeologi.
E se da un lato c’è tanta curiosità nei confronti del nostro lavoro, se frasi come “wow, anche io avrei sempre voluto fare l’archeologo,” ci sono piuttosto familiari, ce ne sono tante altre che tornano costanti, riferite alla nostra categoria. E non sono belle.
Così, noi archeologi, spesso siamo “quelli che bloccano i lavori”, “quelli che stanno sempre in mezzo ai piedi sui cantieri”, “quelli che non si capisce di cosa parlano”, “quelli che non vogliono ammettere che gli alieni stavano un pezzo avanti a egiziani e ingegneri romani”, quelli che… “ma per quattro sassi fate sempre un casino!”
A questo breviario di definizioni dell’”archeologo” ne mancava giustappunto una: “quelli che hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera”.
Vi sfidiamo. Se siete archeologi la prima cosa che avete pensato è “carriera, ma che davvero?”
Stavolta da chi giungono gli ennesimi strali? Dal presidente di una fondazione sarda. Che sembra sia formata da volontari.
E qui è il momento in cui alzate lo sguardo dallo schermo e fate quella faccia un po’ così, con le sopracciglia aggrottate a descrivere la domanda: “ancora?”
E sì, ancora.
Ora, non è che noi siamo contrari all’impiego del tempo libero in azioni filantropiche, però possiamo dirlo che nel nostro campo e nei musei se ne sta facendo un uso disinvolto e davvero poco lungimirante?
Che i volontari dicessero che quelli “fuori posto” e in qualche modo “dannosi” in un contesto archeologico siano gli archeologi, però, oggettivamente, le supera tutte.
Ora, facciamo un passo indietro e torniamo al VIA.
Questo regalino, fastidioso come il carbone, è arrivato, il giorno della Befana, dalla Sardegna.
Pochi giorni fa, infatti, Antonello Gregorini, portavoce di Nurnet – La Rete Dei Nuraghi, Fondazione di Partecipazione sarda nata con lo scopo di promuovere “la cultura del periodo in cui sull’Isola svilupparono le civiltà pre e nuragica” , che ha assicurato la vigilanza del sito di Mont’e Prama (Cabras, Sardegna) durante le feste natalizie, avrebbe sostenuto che “sarebbe folle lasciare questo tesoro nelle mani degli archeologi, che hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera”.
L’articolo continua:
“Ma non vogliamo sostituirci agli archeologi nel lavoro di scavo, il nostro è solo un progetto di marketing“” ha spiegato a un centinaio di persone arrivate un po’ da tutta la Sardegna per partecipare all’assemblea pubblica convocata proprio a Mont’e Prama per raccontare quello che, secondo Nurnet, dovrà essere il futuro del sito. “Mont’e Prama – ha sottolineato Gregorini – è un patrimonio di tutti i sardi e vogliamo che sia trattato da una classe dirigente capace di trarne il massimo profitto in termini di cultura, lavoro e visibilità per tutta la Sardegna”.
La prima cosa che ci viene da dire è che, a ben guardare, “il tesoro” di cui parla Gregorini, se gli archeologi non l’avessero scavato, non ci sarebbe stato proprio. E inoltre pubblicare una scoperta non è una scelta o un’attività ludica, bensì un dovere. Sembra lapalissiano ma evidentemente deve essere ribadito.
Soprattutto, però, quello che salta agli occhi è che gli archeologi sono ancora una volta considerati buoni solo a scavare.
E passata la prima indignazione, questo deve farci riflettere.
Dall’esterno la nostra professione sembra una cariatide monolitica immobile e polverosa, ma non è esattamente così: la statua, come il Leviatano di Hobbes, è fatta di tante persone, foriere di diversi caratteri, interessi, capacità ed energie. Che poi la testa del gigante fatichi a guardare verso il futuro e i comuni mortali spesso è vero, ma non per questo è lecito condannare tutto il corpo.
Se addirittura si arriva a sostenere che “sarebbe una follia” mettere nelle mani degli archeologi il lavoro di valorizzazione di un sito archeologico, è forse giunto il momento, anche per noi, di fare autocritica.
Allora, la prima domanda è: siamo davvero in grado di comunicare all’esterno chi siamo, cosa facciamo e soprattutto perché?
La risposta, chiaramente, è “no”, o comunque “non sempre”. Sono diverse ormai le realtà in Italia in cui ricerca e comunicazione della ricerca vanno di pari passo, ma non basta, non è ancora prassi comune e deve diventarlo se vogliamo che il nostro lavoro sia rilevante per la società in cui viviamo.
La seconda domanda, forse ancora più importante, è: siamo pronti ad occuparci di valorizzazione dei beni culturali, uscendo da logiche che potremmo definire “da primo novecento”? Siamo disposti a rinnovare profondamente il rapporto tra bene culturale e pubblico?
La risposta è “non ancora”, ma ci stiamo lavorando.
La questione però non finisce qui.
Nell’articolo il portavoce di Nurnet cita la classe dirigente e non sbaglia. La fondazione si è fatta carico di assicurare il servizio di guardiania durante il periodo festivo quando il sito, sembra, era stato lasciato senza sorveglianza. E questo dopo immani polemiche su mancanza di fondi, competenze e beghe burocratiche (vedi box sotto con link di approfondimento).
Il problema, insomma, è molto più che una bagarre tra volontari, che meritoriamente si sostituiscono a quella che sentono come una mancanza da parte degli organismi competenti, e archeologi. Il problema è, ancora una volta, culturale e politico.
L’abbiamo detto e lo diremo ancora: non si può pretendere di usare i beni culturali come “volano della ripresa economica” con investimenti minimi, provvedimenti placebo e restauri eclatanti fatti giusto per onorare l’articolo 9 della Costituzione.
Finché la politica culturale di questo paese rimarrà ancorata alle logiche del “a costo zero”, senza un serio investimento (non solo in termini economici) ed una progettualità sul lungo termine, troveremo sempre associazioni di appassionati cittadini che sono disposti a spendere il proprio tempo in nome di una rinascita culturale della loro terra. Il loro impegno è lodevole e benvenuto, ma non può e non deve sostituirsi alle istituzioni, ai professionisti, e a chi ha il dovere di gestire e rendere fruibile il patrimonio culturale dello stato.
E no, “non ci sono fondi” non è più una scusa accettabile.
*
Per approfondire
La questione Mont’e Prama è molto complessa. Non siamo esperte di archeologia sarda, non conosciamo le dinamiche e le problematiche della valorizzazione di questo particolare sito, però in rete ci sono diversi articoli e post interessanti. Ne abbiamo raccolto alcuni che pensiamo possano aiutare a chiarirsi un po’ le idee.
- Il sito della Fondazione: www.nurnet.it
- La pagina FB che cerca volontari per la guardiania al sito archeologico.
Sul sito e la mancanza di sorveglianza:
- Mont’e Prama, vigilanza rafforzata Restauro con i soldi dei privati
- Mont’e Prama, archeologo Zucca: “Abbiamo pagato vigilanza scavi. Ma rischiamo posto”
- L’assessore Claudia Firino su Mont’e Prama: “Vigilanza attualmente garantita dal Corpo Forestale”
- Rassegna stampa a cura dell’Università di Cagliari del giorno 29 dicembre 2014 (articoli 3 e 5)
Mont’e Prama, i volontari e politica culturale
- Volontariato e beni culturali: cosa insegna il caso Mont’e Prama (ma che accademici e politici si rifiutano di capire)
- Essenzialismi culturali, populismo e progetti politici opachi
- Antonello Gregorini: gli avvoltoi di Nurnet
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